Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 54/2018 muta la normativa di riferimento affinché un professionista possa valutare la propria compatibilità per svolgere adeguatamente l’incarico affidatogli.
Il documento “Le nuove incompatibilità degli ausiliari e dei coadiutori nominati nelle procedure concorsuali a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 54/2018” esamina le recenti disposizioni che vanno significativamente ad incidere sulle modalità di nomina degli amministratori giudiziari e degli organi delle procedure concorsuali.
Il d.lgs. n. 54/2018, infatti, modifica direttamente sia il Codice delle leggi antimafia, di cui al d.lgs. n. 159/2011, sia la legge fallimentare e la c.d. legge Prodi-bis, di cui al d.lgs. n. 270/1999, sia la legge n. 3/2012 recante disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Risulta evidente, sin da una prima lettura, la risonanza che produrrà la novella, considerato che il legislatore individua nuove ipotesi di incompatibilità indiretta, in quanto non intercorrenti con il magistrato che conferisce l’incarico, bensì con i magistrati addetti all’ufficio giudiziario al quale quello appartiene.
Tra i motivi ostativi all’assunzione degli incarichi di curatore, di commissario, di amministratore giudiziario e di liquidatore del patrimonio, il legislatore annovera rapporti tipizzati dall’ordinamento, quali sono quelli di coniugio, di parentela, di affinità o di unione civile e convivenza, e rapporti ascrivibili alla categoria della assidua frequentazione, identificando quest’ultima nel rapporto “… derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali”.
Si tratta, a ben vedere, di un intervento di modifica che, seppur apprezzabile per l’evidente intento moralizzatore e dissuasivo di pratiche scorrette nell’attribuzione degli incarichi, potrebbe produrre, in particolar modo negli uffici di modeste dimensioni e meno strutturati, gravi disagi per i professionisti che esercitano nell’ambito del Circondario.
Al di là della esatta ricostruzione della vicenda di cronaca che ha contribuito a una netta presa di posizione da parte del Legislatore, vicenda peraltro superata, ci si interroga se sia corretto che la condotta censurabile di pochi comporti pesanti ricadute, avallate da modifiche normative di rilievo, per quanti operano, da un lato, in ossequio ai principi di derivazione costituzionale dell’imparzialità e della terzietà e, dall’altro lato, in ossequio ai principi deontologici di indipendenza e professionalità specifica espressi nella Legge professionale e nel Codice deontologico della professione.
Come è intuitivo, la questione sembra essere, infatti, squisitamente ideologica e/o morale, atteso che la fase del procedimento di nomina che viene direttamente colpita dall’applicazione dei nuovi obblighi di dichiarazione è quella dell’accettazione dell’incarico e non anche quella dello svolgimento delle funzioni – che deve essere invero improntata ai canoni della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico – ,fase su cui i capi degli Uffici e il Presidente della Corte d’Appello esercitano poteri di vigilanza e di sorveglianza, come si evince dal chiaro tenore letterale delle nuove disposizioni.
Di talché, ci si chiede se la realizzazione di tali obiettivi non si potesse efficacemente raggiungere con un intervento normativo più mirato che privilegiasse la diffusione di un meccanismo di rotazione degli incarichi per gli ausiliari, nei limiti di compatibilità rispetto alle disponibilità fornite, in modo simmetrico a quanto già è previsto per la rotazione dei CTU dall’art. 23 Disp. Att. c.p.c., norma che coniuga l’esigenza della rotazione, sia con la trasparenza nel conferimento dell’incarico e la vigilanza da parte del Presidente dell’ufficio, sia con il necessario rapporto fiduciario tra professionista e magistrato.
Resta inteso che, al di là dell’esame del nuovo impianto normativo, occorre ribadire l’assoluta estraneità del professionista regolamentato rispetto a quei soggetti che, pur non essendo iscritti ad alcun Albo, possono assumere gli stessi incarichi nelle procedure. Il legislatore sembra sovente dimenticare che il professionista iscritto all’Albo, oltre ad aver superato un esame di Stato costituzionalmente riconosciuto e a cui accede dopo un congruo periodo di tirocinio professionale, oltre ad essere deontologicamente obbligato alla frequentazione di percorsi formativi e di aggiornamento delle proprie competenze e conoscenze, è monitorato dall’Ordine di appartenenza che può aprire nei suoi confronti un procedimento disciplinare, con importanti ricadute anche sull’esercizio della propria attività professionale.
Tale dimenticanza va censurata, così come censurabile appare l’ennesimo tentativo di far ricadere sul professionista colpe che sovente non ha.
Al giorno d’oggi, non tutti possono essere professionisti ed esercitare una professione regolamentata, non tanto perché esistono barriere all’accesso (almeno per quanto concerne i Commercialisti), quanto perché gli adempimenti richiesti per esercitare con la particolare diligenza, qualificata opportunamente dal legislatore in base “alla natura dell’incarico”, tendono a far sì che solo i soggetti realmente motivati e specializzati siano in grado di contrastare l’enorme influenza della concorrenza.