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    La Circolare del 2012 è comunque rimasta operativa a regime garantendosi il ruolo di “fonte primaria” nelle operazioni di verifica condotte dall’Authority. Nel suo senno si è formata una prassi che si ritiene debba essere intesa quale basic level da ossequiare al fine di evitare l’irrogazione di sanzioni. Interessante novità è l’utilizzabilità dei “dati e informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte”20 ai fini fiscali mentre nel testo operativo del 2012 ci si riferiva alle sole informazioni contenute all’interno del registro e dell’archivio unico informatico21.

    Volendo come detto sopra riferire una parte della Circolare ai fini di introdurre il lettore in un tema di severa attualità si ritiene di maggiore interesse riassumere quanto previsto in punto ispezioni. La Guardia di Finanza riferisce le proprie linee a seconda che il professionista abbia optato per un differente tipo di verifica (semplificata, indiretta, rafforzata ed ordinaria). Nel caso di verifica semplificata, comportante come si è detto l’esenzione dagli obblighi di verifica adeguata, l’operatore dell’Autorità di vigilanza deve accertare che il soggetto abbia reperito ogni informazione necessaria ex art. 23 D. Lgs. 231/2007 per stabilire se il cliente potesse o meno beneficiare di tale procedura. Ciò sarà altresì approfondito mediante ricorso a riscontri documentali o escussioni del professionista. La GdF appurerà poi che, nonostante sussistessero i presupposti di natura soggettiva, non ci fossero le circostanze in presenza delle quali sarebbe stata necessaria la verifica ordinaria, c’est a dire fondata supposizione di non attendibilità dell’identificazione o carenza di dati informativi, ovvero sospetti di riciclaggio o finanziamento al terrorismo.

    Nel caso in cui il soggetto abbia attuato una procedura di verifica indiretta l’operatore deve verificare se effettivamente il cliente fosse già stato identificato per un’operazione o una prestazione professionale già in essere. La Circolare specifica poi che in tali circostanze può accertarsi l’esistenza effettiva della prestazione professionale o dell’operazione presso il professionista, può procedersi alla verifica della modalità con cui è avvenuta l’identificazione e con cui sono stati assolti gli obblighi di adeguata verifica, e può esaminarsi se dette informazioni siano o meno state aggiornate in modo adeguato.

    Nel caso in cui il professionista abbia optato per una verifica rafforzata gli operatori della Guardia di Finanza accertano che siano state attuate tutte le prescrizioni di cui all’art. 24, D. Lgs. 231/2007. In specie rileva se, non essendo comparso fisicamente il cliente all’atto dell’identificazione, ne sia stata verificata correttamente l’identità attraverso il ricorso a documenti, dati o informazioni supplementari, se siano state adottate ulteriori misure per la verificazione dei documenti forniti e, infine, se il primo pagamento della prestazione professionale ovvero dell’operazione sia stato effettuato per mezzo di un conto corrente del cliente tenuto presso un istituto di credito. Nel caso invece la verifica sia stata rafforzata in ragione del cliente persona politicamente esposta l’accertamento mira a controllare se l’avvio del rapporto professionale sia stato autorizzato e siano state adottate tutte le misure idonee per stabilirne la fonte sia del patrimonio che dei fondi che sono stati utilizzati. Si verifica poi che durante l’intero rapporto professionale sia stato effettuato un controllo continuo.

    In tutti gli altri casi non contemplati da quanto specificato supra il professionista attua una verifica di tipo ordinario. Nel controllo l’Authority procede ad esaminare l’allineamento della procedura di verifica seguita dall’obbligato con i precetti normativi dell’art. 19 D. Lgs. 231/2007, in primo luogo indagherà in ordine agli adempimenti relativi all’identificazione e verifica del cliente e del titolare effettivo in punto a tempistica ed esecuzione e, successivamente, alle modalità di esecuzione. Sul timing and execution la Guardia di Finanza appura se l’identificazione abbia correttamente preceduto il conferimento dell’incarico e, nel caso in cui la clientela fosse già stata acquisita, se siano state rispettate le procedure contenute all’interno della Circolare n. 28108 emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 6 aprile 2009. Verifica poi che il titolare effettivo sia stato identificato contestualmente al cliente e che siano state adottate le misure idonee alla situazione di rischio nel caso in cui il cliente fosse una fiduciaria, un trust ovvero un altro soggetto giuridico. Si accerta dunque che tutte le modalità poste in esecuzione dal soggetto obbligato – ricorso ai pubblici registri, agli elenchi pubblici o ai documenti da chiunque conoscibili – abbiano ossequiato adeguatamente la necessità di conoscere il titolare effettivo.

    In punto modalità di esecuzione il controllo intenderà appurare se il processo identificatorio sia avvenuto mediante un documento valido all’epoca dell’operazione e, in caso di persone giuridiche, se l’obbligato abbia verificato l’effettiva sussistenza di un potere di rappresentanza del cliente acquisendo ogni informazione necessaria ad individuare e verificare l’identità dei rappresentanti con potere di firma per la prestazione richiesta. Successivamente si procede ad acquisire le informazioni sullo scopo e sulla natura dell’operazione: in questo contesto il fascicolo del cliente dovrebbe contenere le informazioni ex lege tra cui le eventuali dichiarazioni fornite dal cliente stesso e l’adempimento di un controllo costante nel corso della prestazione professionale. Si verifica dunque la data di conferimento dell’incarico per appurarne la data, e si ricerca nel fascicolo la documentazione affine ad un monitoraggio periodico. La GdF controllerà poi anche che, nel caso in cui il professionista non sia stato in grado di adempiere agli obblighi di identificazione del cliente e della natura e scopo della prestazione richiesta, egli si sia astenuto dall’esecuzione della prestazione.

    7. I soggetti obbligati

    L’art. 17 del Decreto Antiriciclaggio definisce una norma ad hoc in materia di adeguata verifica per i professionisti ed i revisori contabili secondo cui questi osservano gli obblighi previsti per il controllo della clientela, quale che sia la forma in cui viene esercitata l’attività22, in quattro specifici casi: al momento del conferimento dell’incarico prescindendo da ogni valutazione economica del medesimo, nel caso in cui debba porsi in essere una prestazione professionale occasionale che comporta la movimentazione di una somma pari o superiore a 15.000 euro23,se vi sia sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo ovvero nel caso in cui vi siano dubbi circa la veridicità e adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti in ragione all’identificazione del cliente.

    L’altra norma che ci parla di soggetti obbligati all’adeguata verifica è l’art. 26 del decreto che vincola i terzi all’indagine sulla clientela. Qui il Legislatore ha inteso derogare al principio della know your customer demandando a terzi gli obblighi informativi ferma restando una piena responsabilità in capo al destinatario della norma originaria. Salvo il controllo costante dell’operatività in tutti gli altri casi è consentita la delega. L’obbligo di adeguata verifica si ritiene adempiuto nel momento in cui il terzo incaricato ha rilasciato e trasmesso una idonea attestazione che deve essere a lui direttamente riconducibile. Nell’attestazione deve essere confermato in modo espresso il corretto adempimento degli obblighi di verifica effettuati.

    L’obbligato del caso di specie potrà dunque avvalersi non soltanto di attestatori professionisti ma anche di ulteriori soggetti che hanno rapporti continuativi col proprio cliente e che sono già da questi stati identificati personalmente. Il riferimento corre agli intermediari finanziari di cui al capoverso dell’art. 3, alle loro succursali con sede in Stati extra UE che adottano un sistema di contrasto al fenomeno del riciclaggio analogo a quello adottato in sede europea, agli enti finanziari degli Stati membri dell’Unione, ed a quelli aventi sede legale in Paesi extracomunitari che però adottano misure uguali rispetto a quelle prese in esame da questo studio.

    A tutela non solo dell’interesse generale sotteso dall’obbligo di adeguata verifica ma anche a salvaguardia dei soggetti obbligati l’art. 29 dispone che non sia possibile avvalersi dell’informativa da parte di soggetti terzi se questi risiedono in Paesi ad alto rischio di riciclaggio o finanziamento al terrorismo.

    8. Gli obblighi di conservazione delle informazioni

    Una delle principali innovazioni del D. Lgs. 90/2017 è stata l’abolizione dell’obbligo di istituzione dei registri, tanto cartacei quanto elettronici, nei quali i professionisti dovevano registrare entro trenta giorni dall’accettazione dell’incarico professionale, dall’eventuale conoscenza di ulteriori informazioni rispetto a quelle precedentemente fornite ovvero dal termine della prestazione professionale i dati identificativi del cliente unitamente all’asse informativo necessario a rispettare la disciplina in materia di verifica antiriciclaggio. Invero gli artt. 31 e 32 non parlano più di “registrazione” bensì di “conservazione” dei documenti, dei dati e delle informazioni – ampliando così l’alveo del materiale rispetto alla lettera della norma precedente che parlava solo di documenti – utili a prevenire, individuare o accertare eventuali atti di riciclaggio o finanziamento al terrorismo.

    Come anche specificato dal comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 31 del 24 maggio 2017 il D. Lgs. 90/2017 mira a razionalizzare gli adempimenti che gravano in capo agli obbligati facendo venire meno le formalità ed i tecnicismi – ritenuti eccessivi in comparazione alle esigenze di uniforme e applicazione omogenea del diritto eurounitario – circa i termini di conservazione dei dati e dei documenti. Qui possiamo riscontrare la vera ratio dell’abolizione del registro, eliminazione che trascina con se nell’oblio giuridico anche ogni irregolarità in materia commessa sino al 4 luglio 2017.

    Se è vero quanto sopra affermato il Legislatore non ha comunque abdicato totalmente, scelta che sarebbe stata assolutamente controsenso rispetto allo scopo della normativa antiriciclaggio nel suo complesso. Attualmente esiste l’obbligo di tenuta del fascicolo contenente ogni dato, dichiarazione e informazione del cliente, la valutazione del rischio e, specie con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Privacy, l’informativa sul trattamento dei dati personali.

    Il capoverso dell’art. 31 specifica infatti che occorre tenere traccia dei documenti acquisiti in occasione dell’adeguata verifica della clientela per fornire in un possibile futuro un documento avente efficacia probatoria ai sensi della normativa in materia di scritture e registrazioni inerenti le operazioni. Ogni materiale inerente la verifica va’ poi conservato per un periodo temporale di dieci anni dalla cessazione della prestazione professionale nel fascicolo. Più in particolare occorre che vengano registrate la data di conferimento dell’incarico; i dati identificativi dell’esecutore, del cliente e del titolare effettivo nonché le informazioni relative alla natura ed allo scopo della prestazione; l’importo, la causale e la data dell’operazione nonché i mezzi di pagamento utilizzati.

    In campo notarile la riforma del 2017 ha novellato il comma 2 dell’art. 34 del D. Lgs. 231/2007 di fatto confermando la semplificazione che veniva già concessa dall’art. 38 nel medesimo decreto all’atto della sua prima formulazione. Invero si distingue tra gli atti soggetti e non soggetti a repertorio. Nel primo caso la tenuta in repertorio sostituisce ogni ulteriore modalità di conservazione e per le informazioni non risultanti in repertorio, si pensi al documento d’identità, al codice fiscale, alla partita IVA, esse sono comunque rinvenibili in parti dell’atto finale ovvero in documenti comunque considerati all’interno del fascicolo. Nel caso di attività notarile non soggetta a repertorio, come preliminari, certificazioni per esecuzioni, o attività di mera consulenza, è necessaria l’annotazione in un registro diverso ed autonomo.

    Gli avvocati, i commercialisti ed i revisori contabili ovvero i professionisti del campo giuridico-economico in genere sono tenuti alla conservazione del fascicolo del cliente e, nonostante la novella del 2017, il richiamo alla precedente normativa è ancora forte. Infatti l’impianto giuridico prevedeva – e pare che sia ancora efficace24 – un elenco di prestazioni da registrare identificate dall’Allegato al D.M. 3 febbraio 2006, n. 141attuativo del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56. Per tale motivo appare utile in questo lavoro riportare detto elenco fermo restando l’abrogazione dell’obbligo del registro come ampiamente detto sopra.

    Nel caso di avvocati e notai l’elenco copre il trasferimento di attività economiche, di beni immobili e qualsiasi altra operazione immobiliare; l’apertura, la chiusura e la gestione di conti bancari, conti di titoli, libretti di deposito e di cassette di sicurezza; la gestione di altri beni ed ogni altra operazione di natura economica; la costituzione, gestione, amministrazione o liquidazione di società, enti, trust o strutture similari; l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, gestione e amministrazione di società.

    Per gli altri professionisti l’elenco individua gli accertamenti, le ispezioni ed i controlli; gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza dei lavoratori dipendenti nonché l’amministrazione di detto personale dipendente ed ogni altra funzione connessa; l’amministrazione e liquidazione di singoli beni, patrimoni o aziende; l’apertura, gestione e chiusura di conti bancari, conti di titoli, libretti di deposito, e di cassette di sicurezza; la gestione di denaro, posizioni previdenziali ed assicurative, e strumenti finanziari; l’assistenza in procedure concorsuali, in materia tributaria, per richieste di finanziamenti, a datori di lavoro in sede di visite ispettive o accertamenti; l’assistenza societaria continuativa e generica; l’attività di valutazione tecnica dell’iniziativa d’impresa e asseverazione dei business plan per l’accesso a finanziamenti pubblici; la certificazione di investimenti ambientali; l’attività di consulting in generale, di controllo della documentazione contabile, revisione e certificazione; la costituzione o liquidazione di società, enti, trust o strutture analoghe; le divisioni ed assegnazioni di patrimoni, compilazione dei relativi progetti e piani di liquidazione nei giudizi di graduazione; l’elaborazione e la predisposizione delle dichiarazioni tributarie e cura degli ulteriori adempimenti tributari; le ispezioni e revisioni amministrative e contabili; il monitoraggio e tutoraggio dell’utilizzo dei finanziamenti pubblici erogati alle imprese; le operazioni di finanza straordinaria, di vendita di beni mobili ed immobili nonché la formazione del progetto di distribuzione su delega del giudice dell’esecuzione; la tenuta di paghe e contributi; i piani di contabilità per le aziende; la redazione di bilanci; la rappresentanza tributaria e qualsiasi altra operazione di natura immobiliare o finanziaria.

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    9. Il sistema punitivo

    Il presente elaborato non poteva che terminare con un’analisi dell’impianto punitivo riguardante gli obblighi di adeguata verifica come novellato dal D. Lgs. 90/2017. Invero oggi sono gli artt. 55 e ss. del D.Lgs. 231/2007 a riportare le sanzioni sia a carattere penale che amministrativo.

    In punto criminal law l’art. 55, c. 1, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da 10.000 a 30.000 euro la falsificazione di dati, informazioni e ogni altro elemento relativo al cliente, al titolare effettivo e all’esecutore dell’adeguata verifica nonché allo scopo ed all’an della prestazione professionale ed alla natura dell’operazione stessa. Ad essere sanzionato non è solo il falsificatore ma anche l’usufruitore. L’interesse giuridico tutelato dalla norma de qua è l’adeguata verifica in sé e rinveniamo il soggetto attivo nella persona gravata dall’obbligo di controllo ex artt. 17 e ss. D. Lgs. 231/2007.

    Alla stessa pena soggiace per gli effetti del capoverso della medesima norma chi acquisisce o conserva dati falsi ovvero informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull’esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto professionale e sulla prestazione. Non solo, è altresì rilevante – e sanzionata nei medesimi termini di cui sopra – la condotta di chi utilizza mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare una corretta conservazione dei dati e delle informazioni. In questo caso il soggetto attivo individuabile è la persona fisica che ai sensi degli artt. 31 e 32 del più volte citato decreto legislativo è tenuta agli obblighi di conservazione. In questo caso il Legislatore tutela la conservazione dei dati e delle informazioni.

    La protezione dell’interesse giuridico dell’adeguata verifica riemerge nel testo del comma 3 (art. 55). In questo caso l’Ordinamento giuridico prevede una clausola di riserva: la norma troverà infatti piena esecuzione solo nel caso in cui il fatto non costituisca un più grave reato. Di nuovo viene proposta la medesima cornice edittale ma, nel caso di specie, i possibili destinatari sono coloro i quali sono tenuti a fornire ogni dato necessario all’adeguata verifica. Invero la norma punisce la fornitura di dati falsi ovvero di informazioni non veritiere.

    Il comma 4, volto a tutelare le comunicazioni, sanziona poi la violazione del divieto di comunicazione dell’effettuata segnalazione di operazione sospetta e di comunicazione sul flusso di ritorno delle informazioni richiamando gli artt. 39, c. 1, e 41, c. 3 del D. Lgs. 231/2007. L’autore è necessariamente il soggetto tenuto ad adempiere ai disposti normativi che, nel caso di specie, soggiace ad una pena sensibilmente differente e meno afflittiva rispetto a quelle sin qui definite. Il Legislatore ha infatti voluto una contravvenzione prevedendo la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e dell’ammenda da 5.000 a 30.000 euro.

    Con riferimento alle sanzioni amministrative il decreto se ne occupa negli artt. 56-59 punendo con la sanzione pecuniaria di 2.000 euro – salvo il caso di violazioni gravi, reiterate, plurime ovvero sistematiche per cui la sanzione si colloca tra un minimo di 2.500 ed un massimo di 50.000 euro – l’inosservanza degli obblighi di adeguata verifica e astensione e l’inosservanza degli obblighi di conservazione. Viene punita invece con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro calcolata a persona, la violazione degli obblighi di comunicazione degli organi di controllo.

    L’omessa segnalazione di operazioni sospette viene invece sanzionata in via residuale, ossia salvo il fatto non costituisca reato, con la pecuniaria ammontante a 3.000 euro che, in caso di violazioni gravi, reiterate, plurime o sistematiche, è determinata tra un minimo di 30.000 ed un massimo di 300.000 euro. La sanzione grava sull’azienda ma anche sulle persone che hanno commesso l’omessa segnalazione. Nel caso in cui l’omissione porti un vantaggio economico determinato o determinabile in un valore inferiore o pari a 450.000 euro la sanzione si aumenta sino al doppio, mentre nel caso in cui il vantaggio non sia determinato o determinabile la sanzione può raggiungere fino il milione di euro.

    Prima di passare oltre occorre riferire cosa debba intendersi per violazione ripetuta, sistematica, plurima, reiterata e, a chiusura, generalmente grave. Sul punto è intervenuto anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Circolare DT 54071 del 6 luglio 2017. Per violazione ripetuta si intende quella che segue una precedente contestazione della medesima violazione per cui è stata irrogata una sanzione. Nel corso dell’accertamento l’Autorità procedente richiede esplicitamente al verificato se esistono precedenti provvedimenti sanzionatori notificatigli per la medesima sanzione negli ultimi cinque anni. La risposta fornita dovrà poi essere verificata e, nel caso di discordanze, quanto affermato verrà utilizzato per valutare il grado di collaborazione tenuto. La sistematicità sussiste invece nel caso in cui, nell’ambito di una o più contestazioni o verifiche su un numero sufficientemente alto di singole operazioni anche non riferibili al medesimo cliente ovvero alla medesima tipologia di prestazione professionale, si rileva per la maggior parte di esse il comportamento sanzionato dalla legge. Violazioni dunque realizzate in strutture complesse con intervalli ravvicinati.

    La qualificazione di plurima attiene alla singola contestazione che è composta da più operazioni distribuite in un apprezzabile arco temporale; riguarda una prestazione unitaria dal punto di vista dello scopo perseguito che però, suddivisa in più operazioni distinte sul piano oggettivo, economico o giuridico, dà luogo a più fattispecie autonome teleologicamente coordinate; è contestata dall’Autorità verificante in un unico atto ma riscontra la sussistenza di violazioni per più operazioni.

    Con riferimento alla gravità della violazione il Legislatore la individua ricorrendo ad alcuni criteri specifici quali l’intensità ed il grado dell’elemento soggettivo valutato in relazione all’insufficiente grado di diligenza mantenuto nella condotta del soggetto obbligato25; il grado di collaborazione con le Autorità rilevabile in base alla sollecitudine tenuta nel consegnare la documentazione e le informazioni richieste ovvero la veridicità, completezza ed intelleggibilità di queste; la riproposizione di condotte commissive ed omissive valutate in maniera inversamente proporzionale alle dimensioni ed al grado di complessità dell’organizzazione; infine la rilevanza dei motivi del sospetto avuto riguardo all’operazione in sé ed al grado di coerenza che ella manifesta in rapporto alle caratteristiche del cliente e del rapporto professionale26.

    Con riferimento ai soggetti obbligati vigilati la norma del 2017 novella il precedente impianto prevedendo all’art. 62 che nei confronti degli intermediari bancari e finanziari responsabili in caso di violazioni gravi, ripetute, sistematiche o plurime delle disposizioni in materia di adeguata verifica, di segnalazione di operazioni sospette, ed in materia di procedure e controlli interni trova applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a cinque milioni di euro ovvero, nel caso in cui il fatturato del soggetto giuridico superi il massimo di questa cornice edittale, del 10% dell’ammontare complessivo del fatturato annuo fermo restandone la sua determinabilità. Una sanzione innovativa che trova applicazione, nei termini del capoverso dell’articolo, anche nei confronti dei soggetti titolari delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo dell’intermediario che hanno agevolato, facilitato o reso possibile la violazione non assolvendo ai compiti loro demandati. Nel caso in cui il vantaggio ottenuto dal soggetto attivo sia superiore a cinque milioni di euro la sanzione pecuniaria è elevata sino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto salvo la determinabilità di detto quantum.

    In tutte queste ipotesi è fatto potere dell’Autorità di vigilanza di settore di applicare, secondo le proprie competenze, la sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione dallo svolgimento della funzione o dell’incarico amministrativo, direzionale o di controllo dell’ente per un periodo che varia da sei mesi a tre anni.

    Il comma 4 dell’art. 62 prevede che in caso di violazioni di scarsa offensività o pericolosità trovino applicazione sanzioni alternative alla pena pecuniaria come l’ordine di eliminazione delle infrazioni e astensione dal ripeterle prevedendo le misure da adottare ed i termini di adozione, e la dichiarazione pubblica di commissione del fatto illecito (anche se cessato) commesso dall’ente individuando anche il responsabile. Tale sanzione è a ragione molto criticata in quanto rappresenta chiaramente una mera pubblicità negativa che genera unicamente un danno reputazionale nei confronti di chi ha di fatto eliminato una situazione negativa. Essa non trova comunque applicazione nei confronti del professionista (es. avvocato, commercialista, revisore contabile).

    Riassumendo possiamo quindi affermare che la novella del 2017 ha rinnovato interamente l’impianto punitivo abrogando tacitamente le norme in materia di omessa registrazione, già depenalizzata per effetto del D.Lgs. 8/2016; dell’omessa istituzione dell’archivio unico informatico che prevedeva la comminazione di una sanzione di carattere amministrativo; e l’omessa istituzione del registro della clientela, anch’essa precedentemente prevista come illecito amministrativo